friend of the sea: PERCHè dirsi sostenibili non bastaIl fondatore Paolo Bray: "La certificazione indipendente è unica risposta davvero trasparente dell'industria ad un consumatore sempre più attento alla sostenibilità e origine dei prodotti"
“In principio fu un video, un video girato da un biologo marino su una battuta di caccia al tonno al largo delle coste californiane in cui venivano massacrati molti delfini. Era la fine degli anni ’80 e per l’opinione pubblica USA quel video fu uno shock”.
A raccontare questa storia è Paolo Bray, fondatore e presidente di Friend of the Sea, certificazione internazionale per la pesca e acquacoltura sostenibile.
Quel video fu l’inizio della storia della sostenibilità applicata all’industria ittica, prima semplicemente non ci si poneva il problema di come venisse pescato o allevato il pesce.
“Si scoprì che in quella zona di pesca erano stati sterminati circa sette milioni di delfini in trent’anni”.
Una presa di coscienza tragica e allo stesso tempo fondamentale per tutti noi.
Da allora gli attivisti ambientalisti dell’Earth Island Institute chiesero ai principali produttori di tonno statunitensi di rispettare i mammiferi marini e fu così che nacque prima il marchio di certificazione Dolphin Safe e successivamente, dal 2008, Friend of the Sea. Da allora in quella zona di Oceano sono stati risparmiati il 98% di delfini.
“L’esperienza americana – spiega Bray ancora oggi Direttore Europeo dell’Earth Island Institute per il progetto Dolphin Safe – ci ha insegnato che, con la collaborazione dell’industria e dei consumatori e una certa pressione sul mercato tramite la certificazione di sostenibilità, si possono ottenere risultati tangibili in termini di conservazione delle specie. Per questo ho deciso di fondare Friend of the Sea, certificazione che oggi coinvolge oltre cinquecento aziende internazionali”.
Chi garantisce la certificazione di Friend of the Sea?
Noi rilasciamo la certificazione di prodotti ittici da attività di pesca sostenibile secondo una serie di parametri che vengono verificati da enti di terza parte come DNV e RINA. Questi sono a loro volta verificati dall’ente di accreditamento nazionale, che in Italia è Accredia e che lavora in sintonia totale con gli altri enti dei Paesi della Ue.
È cambiato l’atteggiamento delle aziende dalle prima volte che le visitavi a oggi?
Quando iniziai a incontrare le aziende del tonno per coinvolgerle nel progetto, venivo accolto da quasi tutti come un marziano. Mai nessuno si era sognato di chiedergli di selezionare i fornitori in base all’impatto sull’ambiente. Alcuni non si erano mai preoccupati, non sapevano nemmeno quali fossero le specie a rischio estinzione.
Ora invece la maggior parte delle conferenze sull’ittico vertono sulla sostenibilità e sull’impatto ambientale. Il merito è anche delle tecnologie che hanno reso più facilmente disponibili le informazioni: quelle sul rischio per le singole specie ittiche prima erano confinate in tomi pesanti e di esclusivo patrimonio delle aziende, oggi si può consultare tutto online e i dati sono aggiornati in tempo reale.
Il miglioramento dell’attenzione verso la sostenibilità è generale?
Le cose sono migliorate molto dal punto di vista delle informazioni e della consapevolezza, di industria e consumatori. Laddove si sono seguite le buone pratiche – come in Australia, in Usa e anche in Europa – gli stock ittici ne hanno beneficiato. E i miglioramenti si sono registrati anche in un breve lasso di tempo.
In altre zone mancano invece ancora i dati di gestione appropriata dell’attività di pesca.
Nelle aziende c’è stato un graduale coinvolgimento e una presa di responsabilità sull’argomento. L’industria del tonno è stata precorritrice in tal senso. Dietro la pressione delle organizzazioni ambientaliste, le aziende hanno voluto dimostrare con orgoglio di impegnarsi. Il tonno è la specie su cui esistono più dati scientifici e per cui è stato fatto maggiore sforzo nella riduzione dell’impatto della pesca.
E i consumatori?
Ci sono Paesi in cui il consumatore è più interessato alla sostenibilità. Nei Paesi economicamente più sviluppati non si considera più solo il prezzo per l’acquisto ma si guarda la filiera di produzione.
Le ultime statistiche dimostrano che il valore dei prodotti ittici sostenibili aumenta dello 0,5% all’anno ed è indubbio che il prodotto certificato abbia un costo finale maggiore. In Paesi emergenti con forti differenze interne il dato è molto evidente: in Cina ad esempio le grandi città sono più sensibili, mentre le aree rurali sono ancora del tutto indifferenti alla sostenibilità.
A volte invece anche il consumatore che chiede maggiori informazioni si trova davanti a un muro o ottiene indicazioni dai produttori non verificate da terze parti. Si tratta in questi casi di autocertificazioni non verificate e quindi incontrollabili. Anche il consumatore più attento rischia così di costruirsi un quadro di informazioni distorte e finisce per essere di fatto privato degli strumenti necessari per distinguere il vero dal falso. Tracciabilità, trasparenza e certificazione sono quindi oggi condizioni ancora più imprescindibili per garantire la vera sostenibilità dei prodotti.
PAOLO BRAY
Paolo Bray è il fondatore e direttore di Friend of the Sea. Paolo è anche Direttore Europeo dell’Earth Island Institute per il progetto Dolphin-Safe. A partire dal 2007, si occupa di Friend of the Sea a Milano, Italia, dove è ubicata la sede dell’associazione.